martedì 29 aprile 2008





Con questa lettera, datata 1910, Rudyard Kipling cercò di insegnare al figlio a distinguere fra il bene e il male:



Se riesci a conservare il controllo quando tuttiIntorno a te lo perdono e te ne fanno una colpa;
Se riesci ad aver fiducia in te quando tutti Ne dubitano, ma anche a tener conto del dubbio;
Se riesci ad aspettare e non stancarti di aspettare,O se mentono a tuo riguardo, a non ricambiare in menzogne, O se ti odiano, a non lasciarti prendere dall'odio,E tuttavia a non sembrare troppo buono e a non parlare troppo saggio;



Se riesci a sognare e a non fare del sogno il tuo padrone;
Se riesci a pensare e a non fare del pensiero il tuo scopo;
Se riesci a far fronte al Trionfo e alla Rovina E trattare allo stesso modo quei due impostori;
Se riesci a sopportare di udire la verità che hai detto Distorta da furfanti per ingannare gli sciocchi O a contemplare le cose cui hai dedicato la vita, infrante, E piegarti a ricostruirle con strumenti logori;



Se riesci a fare un mucchio di tutte le tue vincite E rischiarle in un colpo solo a testa e croce, E perdere e ricominciare di nuovo dal principio E non dire una parola sulla perdita;
Se riesci a costringere cuore, tendini e nerviA servire al tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,E a tener duro quando in te non resta altro Tranne la Volontà che dice loro: "Tieni duro!".



Se riesci a parlare con la folla e a conservare la tua virtù, E a camminare con i Re senza perdere il contatto con la gente,
Se non riesce a ferirti il nemico né l'amico più caro,
Se tutti contano per te, ma nessuno troppo;
Se riesci a occupare il minuto inesorabile Dando valore a ogni minuto che passa, Tua è la Terra e tutto ciò che è in essa, E - quel che è di più - sei un Uomo, figlio mio!



Rudyard Kipling (Mumbai 13.12.1865 – Londra 18.01.1936)
Est modus in rebus, sunt certi denique fines
Quos ultra citraque nequit consistere rectum.
Orazio (Venosa 65 a.C. – Roma 8 a.C.) , Satire 1,1, 106-107.
C'è una misura nelle cose, ci sono insomma dei limiti certi
Oltre e prima dei quali non può stare il giusto.

aprile


Francesco Cozza, Ritratto di T. Campanella(Olio su tela, ca. 1630. Roma, Collezione Caetani)


"Di cervel dentro un pugno io sto, e divoro

tanto, che quanti libri tiene il mondo

non saziar l'appetito mio profondo:

quanto ho mangiato !

e del digiun pur moro" (n.°5)


Tommaso Campanella Stilo n. 1568

Glenn Gould


"In sostanza, diceva, non vogliamo essere uomini ma pianoforte, per tutta la vita vogliamo essere pianoforte e non uomini, sfuggiamo all'uomo che è in noi per diventare pianoforte in tutto e per tutto, ma in questo siamo destinati a fallire anche se non
vogliamo crederci. Il sonatore di pianoforte ideale (Glenn non usava mai il termine pianista!) è colui che vuol essere pianoforte, e infatti
ogni giorno mi dico appena sveglio, voglio essere lo Steinway, non voglio essere l'uomo che suona lo Steinway, voglio essere lo Steinway, lo Steinway in sé.
Qualche volta ci avviciniamo, anzi ci avviciniamo moltissimo a questo ideale, diceva, ed è allora che ci sembra di impazzire, di essere quasi arrivati alla follia che temiamopiù di ogni altra cosa al mondo. Per tutta la vita Glenn aveva avuto il desiderio di essere lo Steinway in sé, gli era odiosa l'idea di porsi solamente come intermediario musicale tra Bach e lo Steinway e di essere un giorno stritolato tra Bach e lo Steinway […] Da quando sono in vita ho sempre avuto paura di essere stritolato tra Bach e lo Steinway e mi costa una fatica enorme sfuggire a questo atroce pensiero, diceva. L'ideale sarebbe che io fossi lo Steinway, che non avessi bisogno di Glenn Gould, diceva, se fossi lo Steinway potrei fare in modo di rendere Glenn Gould del tutto superfluo. Tuttavia, così Glenn, non c'è mai stato al mondo un solo sonatore di pianoforte al quale sia riuscito, essendo Steinway, di rendere se stesso superfluo.
Svegliarsi un bel giorno ed essere insieme Steinway e Glenn […] Glenn Steinway, Steinway Glenn soltanto per Bach."

Da: Thomas Bernhard, "Il Soccombente" Adelphi 1985.

domenica 20 aprile 2008

Venere Agnolo Bronzino


Venere ignuda con Cupido che la bacia et il Piacere da un lato et il Giuoco con altri amori e dall’altro, la Fraude, la Gelosia et altre passioni d’amore”. Così il Vasari descrive l'Allegoria del trionfo di Venere (National Gallery, London), dipinto da Bronzino (1540-1545) sotto la guida dell’umanista Landinelli, per donarlo a Francesco I di Francia. Un’opera che per complessità e ricchezza di allusioni, ben rappresenta il clima imbevuto di riflessioni filosofiche delle corti italiane della seconda metà del cinquecento. Viene considerato e forse non a torto, uno dei quadri più carichi di eros del manierismo italiano. Di fatto un allegoria della Lussuria, come suggeriscono oltre al tema, l’uso delle sensuali linee curve e spezzate e le esasperate torsioni dei corpi. L’abbraccio di Venere, quasi violata dal proprio figlio: Amore, mentre gli nasconde la mela ricevuta da Paride (l’origine mitologica della guerra di Troia) e cerca di sottrargli la freccia, è stato per altro letto da certa psicoanalisi, come binomio conflittuale (attrazione-castrazione) materno, nei confronti della potenza sessuale del figlio. Che si tratti di passione dei sensi, lo indicano anche “il bacio troppo fisico per essere una semplice espressione di amore filiale”(A. Auf der Heyde), la possessiva mano di Cupido sul seno della dea e il modo ambiguo e intenso di sfiorarsi dei volti e delle labbra. La personificazione del Piacere è rappresentata da un piccolo satiro intento a spargere fiori –le sue fattezze ricordano l’iconografia del putto danzante-. Seminascosta, la creatura ibrida col viso di fanciulla e il corpo di serpente, rappresenta l’Inganno: le sue mani afferrano contemporaneamente i simboli del piacere – un favo- e del dolore – una vipera-, sembrano contorte ma in realtà sono volutamente invertite per confondere le vittime delle sue simulazioni. l'Oblio mascherato, cerca di stendere un drappo per coprire la scena, ma il Tempo barbuto, -i cui attributi sono le ali e la clessidra-, glielo impedisce. Mentre Gelosia o Disperazione tiene con rabbia la testa tra le mani rosa dall’invidia. Infine, le maschere poggiate per terra, simboleggiano l’invecchiamento e l’abbrutimento cui possono condurre, ahimé, gli affanni del cuore.


venerdì 18 aprile 2008

ETICA CRISTIANA E VIRTU’ BORGHESI

Il “ caso Ambrosoli ”

(da un articolo del " Corriere della sera" )

di Gherardo Colombo

Il 12 luglio 1979, sotto casa, di notte, viene ucciso Giorgio Ambrosoli.

Chi lo uccide non è un terrorista, è un killer prezzolato che lo uccide per il suo lavoro.

Avvocato civilista, esperto in liquidazioni coatte amministrative, aveva lavorato con grande competenza nella liquidazione della SFI, ed era perciò stato nominato in seguito commissario liquidatore della Banca Privata, controllata da Michele Sindona, della quale nel 1974 era stata dichiarata l'insolvenza, e cioè il fallimento.

Sindona, fino ad allora, era il più potente banchiere privato italiano e il massimo esponente della così detta “finanza cattolica”.

Ambrosoli, giovane professionista (era nato a Milano il 17 ottobre 1933), di convinzione monarchica e liberale, impegnato a fare cultura più che politica, aveva il compito di ricostruire i motivi del fallimento e di recuperare il denaro distratto da Sindona.

Nella lettera testamento del 25 febbraio 1975 indirizzata alla moglie Anna, che la troverà dopo la morte del marito fra le sue carte, Ambrosoli scrive di essersi trovato così, di colpo, a “fare politica per conto dello Stato e non di un partito”; ad impedire che ricadessero sui cittadini le passività delle banche di Sindona.

Quando il suo lavoro cominciò a dare frutti, e venne acquisita alla liquidazione la holding estera che controllava l’impero societario di Sindona, iniziarono le intimidazioni, che divennero continue; le voci anonime che telefonicamente minacciavano Ambrosoli parlavano di dettagli conosciuti soltanto da chi aveva con lui stretti rapporti proprio riguardo alla liquidazione della banca.

Procedevano intanto anche le manovre politiche a protezione di Sindona; per indurre la giustizia americana a non estradare il banchiere personaggi di rilievo, tra cui il Procuratore Generale della Corte d’Appello di Roma, sottoscrissero “affidavit” a sostegno dell’imputato, affermando che era vittima di una persecuzione politica pilotata dalla sinistra.

Amborosoli però non si piegò. Sulla paura prevalse il rispetto della propria libertà, libertà di essere coerente con se stesso, di non farsi condizionare da altri, di assolvere nell’interesse di tutti il proprio mandato.

Poichè Sindona era fallito anche in America, e i magistrati di New York si trasferirono in Italia per saperne di più sui suoi metodi, sulle sue malefatte italiane. assunsero, per giorni la lunga testimonianza di Ambrosoli, che metteva a nudo le responsabilità di Sindona.

Ambrosoli venne ucciso la notte precedente alla sottoscrizione formale delle sue dichiarazioni.

Giorgio Ambrosoli era sposato ed aveva tre figli: Francesca, Filippo e Umberto, amava teneramente la sua famiglia, alla quale fu sottratto da chi voleva conservare il proprio potere e le proprie illecite ricchezze.


La vicenda di Ambrosoli pone inquietanti interrogativi sul modo di essere della nostra società.

Ambrosoli che era uomo delle regole, ebbe tutti, o quasi tutti, contro. Era considerato per la cultura di allora (intendendo per cultura l'insieme dei punti di riferimento che valgono per la generalità o meglio per la maggior parte delle persone e, nel caso specifico, delle persone che contano) , e forse continua ad essere considerato anche per la cultura di adesso, un personaggio a dir poco anomalo. Perché?.

Parto dal presupposto che nessuno sia necessariamente in malafede, e mi chiedo: ma perché mai una valutazione di tal genere su Ambrosoli era (e forse sarebbe ancora) così diffusa? Non posso pensare che tutti siano così legati al proprio interesse personale, ai propri soldi, alla propria furbizia da dare un giudizio negativo su Ambrosoli solo perché il suo operare contrastava con precise mire di potere personale o con la evidente salvaguardia di concreti privilegi. Le persone direttamente colpite dalla sua azione erano, del resto, una minoranza, meno numerosi comunque di coloro che invece dalla onesta liquidazione dell’impero di Sindona traevano vantaggio

Ed allora, come mai Ambrosoli è stato considerato “uno fuori del mondo”? Come mai esiste una convinzione così diffusa e radicata secondo la quale c'è sì la regola. ma la vita è comunque un'altra cosa rispetto alla regola? Essa non riguarda soltanto quella parte di società che Stajano ha individuato intitolando il suo libro “Un eroe borghese”. E’ ben più diffusa nella nostra società, non è prerogativa solo d'una sua componente.

Peraltro la convinzione secondo cui la regola è cosa diversa dal vivere si combina in una singolare misura con il radicato atteggiamento secondo il quale il rispetto delle regole viene chiesto agli altri, mentre ciascuno risulta intimamente convinto di esserne personalmente svincolato. C'è, secondo me, questa diffusa doppiezza, secondo la quale coloro con i quali ti trovi, anche occasionalmente, in contraddittorio sono tenuti, loro, a rispettare le regole, mentre se le rispetti tu finisci quasi per sentirti uno sprovveduto.

Mi sembra ovvio che fin quando queste convinzioni saranno capillarmente diffuse sarà ben difficile che nel nostro paese possa instaurarsi una effettiva legalità.

Va poi sottolineato un altro profilo: molti si sentono vittime della malvagità altrui, ma il loro atteggiamento è quello dello spettatore impotente, che non partecipa al gioco, che non ha strumenti per incidere, per far pesare il suo punto di vista, per comunicare ad altri (compresi i potenti che siano allo stesso tempo “malvagi”) le proprie convinzioni e convincere a sua volta chi gli sta intorno. Tale atteggiamento il più delle volte è in contraddizione con la realtà ed è comunque soltanto distruttivo e assolutamente pessimista.

Esso inoltre suscita un atteggiamento di fastidio come se chi vuole il rispetto della legalità venisse a turbare un “equilibrio”, una sicurezza, una consuetudine, che evidentemente paiono valori in sé, ancorché determinino danni per tutta la collettività.


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Il ricordo (e l’esempio) di Giorgio Ambrosoli sono una componente essenziale della nostra riflessione. Inseriamo nel sito questa lettera, indirizzata da Ambrosoli alla moglie, che contiene il suo testamento spirituale.


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Anna carissima,

è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I. (Banca Privata Italiana n.d. r.) atto che ovviamente non soddisfarà molti e che è costato una bella fatica.

Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto. E’ indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il paese.

Ricordi i giorni dell'Umi (Unione Monarchica Italiana n.d.r.) , le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant'anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l'incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato - ne ho la piena coscienza - solo nell'interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo.

I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [... ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa.

Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell'altro [... ]

Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi.

Hai degli amici, Franco Marcellino, Giorgio Balzaretti, Ferdinando Tesi, Francesco Rosica, che ti potranno aiutare: sul piano economico non sarà facile. ma - a parte l'assicurazione vita – (…)

Giorgio
 
Pino Greco

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